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manzOni

Febbraio 28, 2010

Può suscitare ilarità il conio di Divisione Futuro applicato ai manzOni, come se il frontman non avesse 56 anni e il progetto non nascesse da macerie di una gloria virtuale. Ma se ce l’ha fatta tardi Susan Boyle, perché non Gigi Tenca, che come donna è molto più bello? Prima, molto prima, c’erano i Maladives: tappe bruciate, la vittoria a Rock Targato Italia 2000 quando ancora forse contava qualcosa, poi improvvisamente splittati proprio mentre altrove il modello di liriche fuorvianti e tempeste di chitarra à la Sonic Youth e Mogwai stava prendendo piede fuori dall’orbita Massimo Volume.

Nuova la line-up, con l’ingresso di Fiorenzo Fuolega e Ummer Freguia a supportare i membri storici Emilio Veronese e Carlo Trevisan; inedito lo schieramento senza basso, con i chitarristi ad alternarsi al seggiolino delle pelli, e una loop machine quale variabile non impazzita. Il resto ce lo mette sempre lui, Gigi Tenca, magnetico attore-reader-interprete-centro di gravità gravosa che grava e gravita sotto il peso della propria vita, un Aidan Moffat lagunare cui basta sostituire la vocale finale del cognome per trasformarlo in cantautore dall’esito noto. Al momento manzOni sono otto brani registrati, qualche sporadico live prima del lancio in due stadi -primavera e autunno, è musica equinoziale- e, chissà, l’interesse di coloro cui Le Luci Della Centrale Elettrica e Moltheni non sono certo indifferenti.

Cosa ci sarà è tipico suo pseudocantato che spezza le sillabe. Poche note e per lo più in loop: pianti senza lacrime come questa canzone, Gigi è stonato ma importa quello che dice non come, per chi lo conosce appare reduce dai modi di un decennio fa. Ma le nuvole sul Sessantotto e la voce che scompare sotto il diluvio shoegaze sono distintivi. Maria, pesante cronaca gigitenchiana in ritratto, scorticata come baco da murazzo in pietra d’Istria, fenditura nella diga dove s’infilano topi e bottiglie vuote. Scappi la più bella, adulta, consapevole, ricordo passato di un uomo vecchio, infinito. L’ancestrale amore per le piante, per i particolari, tutto 100% Maladives. Per qualcuno un deja vu, per altri una folgorazione: “se la vuoi, è qua”. Tu sai: loop e sforzo, tormento vocale, urla dell’uomo messo all’angolo, drumming astringente del neofita, chitarrismo sonico che si sovrappone (quattro i mezzi impiegati). “Chiedi chi erano i Maladives”, li ritrovi tutti qua dentro, e in Anna secondo estratto, secondo ritratto: la forma più easy delle chitarre leggere e classic pop dissimula contenuto del consueto tenore. “Non hai mai un pensiero dolce e positivo”, lo accusò bonariamente un collega locale. Ora che ha più anni e meno voce, Tenca non ha nemmeno più il motivo di cercarlo, quel pensiero, nelle biografie altrui. Ray Moon via di tremolo abbestia, malinconia di neve da dietro ai vetri. “Ho saputo che ora stai bene, me l’han detto in coro la luna, un rhum e Nick Cave”, spazzolini dimenticati nel trasloco (cfr. Defonseca?) e profumi che vengono spruzzati per traviare l’assenza, la tragedia di marmo che cammina sempre più minacciosa sulla tempesta di feedback. Catarsi che trova conferma nella necessaria Scrivo, ovvero il manifesto che parzialmente smentisce, negli intenti, il dubbio di cui sopra, per poi autosmentirsi a sua volta. Il testo andrebbe riportato per intero e interiorizzato prima di ascoltare qualsiasi altro brano di manzOni, quasi otto minuti di “ho scritto d’amori perduti, voglio liberarmene, d’amore non voglio più scrivere, sono stanco di immaginare la mia morte, di morte non voglio più scrivere, sono stanco di scrivere di ideali sconfitti e mancate vittorie, sono stanco di scrivere con le lacrime, voglio scrivere con il sorriso di colori che non siano il nero”… pedante conferma per pochi utenti (Dolce estate, Non ho bisogno di te), novità assoluta per gli altri, ad ogni sostantivo il suo colore e un urlo, stream of consciousness del più tetro dolore mentre chitarre e loop si sfaldano postrock come nuclearizzate alle fondamenta. Infine Sale, “di fiori di frutti e di nient’altro”, recitava all’incirca una vecchia locandina dei Maladives: è uno spoken word molto vicino alla melodia, sul modello di Brizzi coi Numero6, solo che dietro e spesso davanti ai testi iperrealisti e privi di soverchie suggestioni che non siano immediatamente fotografiche presenta suoni aguzzi, rock senza apposizioni, votate a creare il pathos per la liberazione del frontman (da se stesso, direbbe Scrivo) quale struttura standard. Non cercate eccessivi metri di paragone: ora come allora, non ci sono.

manzOni – “Scappi

gigi tenca

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Comments

One Response to “manzOni”

  1. Panic at Shindy, Vicenza, 16.5.2010 | Italian Embassy on Maggio 17th, 2010 21:47

    [...] giornalista Simone e con LeleSD degli Eterea, la metà campione d’Italia (Gigi Tenca dei ManzOni, prestissimo in studio a Correggio da Bruno Germano – ne sentirete delle belle) sta nelle [...]

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